Uno studio dell’ università analizza come diverse aree del cervello comunicano tra loro.
Lo studio, condotto da docenti e ricercatori dell’ateneo, analizza come varie aree del cervello siano collegate tra loro. Così, lo studio viene in aiuto alla comprensione di malattie e disturbi neurologici.
Come funziona, dunque, il cervello? Un modello matematico ne ricostruisce la mappa accurata.
Il connettoma è la complessa rete di connessioni e collegamenti che permette il trasporto dell’informazione tra le aree del cervello. Una sorta di Google Maps cerebrale, il cui studio risulta fondamentale nella cura delle malattie del cervello come Alzheimer, Parkinson e sclerosi multipla. Come avere una mappa precisa di quali “strade” e “sentieri” permettono al cervello di funzionare?
La ricerca “A new method for accurate in vivo mapping of human brain connections using microstructural and anatomical information”, è stata pubblicata sulla rivista scientifica Science advances. Tale ricerca ha tentato di rispondere a questa domanda grazie al lavoro di un team di docenti e ricercatori dell’ università di Verona.Tutti coordinati da Alessandro Daducci, docente di Bioingegneria elettronica e informatica al dipartimento di Informatica dell’ateneo veronese. Lo studio, finanziato dal programma per giovani ricercatori “Rita Levi Montalcini” del Miur, ha coinvolto i partner internazionali École polytechnique fédérale de Lausanne (Svizzera), University of Sherbrooke (Canada), e University of Bordeaux (Francia).
“In questo studio abbiamo sviluppato un modello matematico per migliorare drasticamente l’accuratezza delle stime della connettività cerebrale tramite risonanza magnetica” osserva Simona Schiavi, prima autrice della ricerca. “Sfruttando l’ottimizzazione convessa, abbiamo proposto un metodo che, a partire da dati di risonanza magnetica pesata in diffusione, è in grado di migliorare sensibilmente la stima della connettività strutturale del cervello usando contemporaneamente informazioni anatomiche e microstrutturali” spiega Schiavi.
“Costruire la mappa geografica di tutte le strade percorse dagli assoni (prolungamenti della cellula nervosa che conducono gli impulsi nervosi) rappresenta una sfida intrigante quanto fondamentale per poter capire come diverse aree del cervello comunicano tra loro. In mancanza dell’equivalente della macchina di Google, che fotografa tutti le vie e gli incroci, nello studio mostriamo come tutti i metodi ad oggi conosciuti non siano in grado di mappare accuratamente le connessioni nervose del cervello” evidenzia Alessandro Daducci. “Ogni metodo è infatti in grado di trovare tutte le connessioni reali al prezzo di “inventarne” anche molte altre, quindi false, le quali hanno un impatto catastrofico nelle analisi di connettività”.
“Basandoci sulla teoria secondo cui il cervello non può essere troppo denso di connessioni per ragioni sia di spazio che di energia che consumerebbe, abbiamo costruito un modello che, a partire dalle connessioni trovate da un qualunque metodo conosciuto e usando informazioni microstrutturali provenienti da dati di risonanza magnetica, è in grado di riconoscere ed eliminare la maggior parte di quelle false. Su dati simulati riduciamo i falsi positivi da 441 a 20, mantenendo tutte le connessioni reali. In vivo mostriamo come, con questo nuovo approccio, siamo in grado di ricostruire tutte le connessioni conosciute, mentre la maggior parte di quelle che si sanno essere false vengono eliminate o drasticamente ridotte”.
Conoscere con precisione le strade veramente percorse dagli assoni rappresenterebbe un avanzamento cruciale nel campo delle neuroscienze. “Avere mappe accurate permetterebbe non solo di capire a fondo i legami strutturali, ma anche conoscere meglio quelli funzionali. Da un lato permetterebbe quindi di fornire informazioni più precise ai neurochirurghi che potrebbero quindi pianificare meglio gli interventi, mentre dall’altro aprirebbe nuovi scenari per la comprensione della vasta gamma di malattie neurodegenerative che distruggendo legami strutturali portano alla progressione di disfunzioni” chiarisce Daducci.
“Il nostro lavoro – concludono – può essere paragonato all’aver migliorato drasticamente la qualità delle mappe presenti in Google Maps, passando da un’accuratezza del 25% a circa il 97%. Come nessuno vorrebbe pianificare un viaggio utilizzando un navigatore così impreciso, così nessun medico vorrebbe poter contare su uno strumento così inadeguato per studiare una patologia neurologica. Oggi è possibile fare riferimento a “mappe” più accurate, che segnano una svolta importante nello studio di malattie neurologiche come Alzheimer e sclerosi multipla.
G R