Progetto “Enact – Conoscerlo per sconfiggerlo, alleanza contro Covid-19”
“Enact – Conoscerlo per sconfiggerlo, alleanza contro Covid-19” è il titolo del progetto scientifico partito nel marzo 2020 e che ha coinvolto ricercatrici e ricercatori dell’ateneo in mesi di lavoro per comprendere e combattere il virus.
A un anno dal suo avvio ne hanno fatto un bilancio in conferenza stampa il magnifico rettore Pier Francesco Nocini, il presidente della Fondazione Cariverona Alessandro Mazzucco, il direttore della Sezione di Immunologia Vincenzo Bronte e il coordinatore del progetto Giovanni Pizzolo.
Enact rappresenta un modello innovativo di collaborazione tra ricerca scientifica accademica e finanziatori privati. Finanziato da Fondazione Cariverona per 2 milioni di euro e co-finanziato da Fondazione Tim per 250 mila euro il progetto coinvolge vari gruppi dell’università di Verona in collaborazione con l’Azienda Ospedaliera Universitaria, capaci di assicurare competenza scientifica e un approccio multidisciplinare senza precedenti.
Per tracciare un bilancio i relatori sono partiti dal più recente risultato scientifico. La pubblicazione del lavoro svolto dal team coordinato dal professor Bronte dal titolo “Deciphering the state of immune silence in fatal Covid-19 patients” sulla prestigiosa rivista internazionale “Nature Communication”. Lo studio ha chiarito i meccanismi che provocano un “silenzio immunitario” in chi viene colpito in forma grave dal virus.
Il gruppo di ricerca ha caratterizzato lo stato immunologico di pazienti Covid-19, sia con sintomatologia grave che moderata e rispetto ai donatori sani, integrando dati clinici, fenotipici, funzionali e molecolari su singola cellula. I ricercatori hanno definito che la progressione della malattia altera la funzionalità immune del paziente, delineando un vero e proprio “atlante immunitario” nel decorso di Covid-19.
Analisi molecolari effettuate sul genoma di singole cellule presenti nel sangue e nel liquido di lavaggio bronchiale hanno permesso di tracciare, in maniera estremamente accurata, sbilanciamenti nella composizione dei globuli bianchi mentre i dati sierologici hanno fornito informazioni sui possibili mediatori presenti nel sangue e responsabili di queste alterazioni. Inoltre, saggi in vitro eseguiti con globuli bianchi isolati da questi soggetti hanno consentito di caratterizzare lo stato funzionale della risposta immunitaria. Tutte queste informazioni, integrate tra loro, hanno delineato il contesto immunologico del paziente e permesso di associarlo alla sua condizione clinica.
Il gruppo di ricerca ha così scoperto che l’infezione e la progressione patologica sono associate ad uno stato iniziale di iper attivazione del sistema immunitario che interessa tutte le sue componenti. Nelle fasi in cui il soggetto presenta sintomi dovuti alla polmonite interstiziale compaiono nel sangue nuove sottopopolazioni cellulari che sono normalmente assenti negli individui sani.
Sorprendentemente, i ricercatori hanno osservato analoghe alterazioni del sistema immunitario durante l’evoluzione di alcune neoplasie umane. Questa risposta rappresenta il tentativo dell’organismo di contrastare l’eccessiva stimolazione della risposta immune ma ha come corollario l’induzione di uno stato di paralisi dei linfociti, che rappresentano la difesa principale contro le infezioni. Il gruppo di ricerca ha anche identificato nell’enzima Arginasi 1, uno dei responsabili principali del blocco della funzione dei linfociti. Sono in corso ricerche per valutare nuovi trattamenti anticorpali per eliminare l’azione deleteria di questo enzima.
L’evoluzione della malattia porta ad uno stato ulteriore di progressivo deficit delle funzioni immunitarie che è stato definito come “silenzio immunitario”, presente nei pazienti con prognosi peggiore. In questo stadio, l’intero sistema immunitario presenta segni di una completa inattivazione, una forma di esaurimento che rende il soggetto incapace di fronteggiare la malattia e possibili infezioni batteriche secondarie.
Primi autori della ricerca sono Francesco De Sanctis e Stefania Canè, ricercatori del dipartimento di Medicina. Vincenzo Bronte, direttore della sezione di Immunologia, ne è autore corrispondente. Hanno firmato lo studio anche Stefano Ugel, Katia Donadello, Monica Castellucci, Alessandra Fiore, Cristina Anselmi, Roza Maria Barouni, Rosalinda Trovato, Simone Caligola, Annarita Mazzariol, Davide Gibellini, Pasquale De Nardo, Evelina Tacconelli, Leonardo Gottin ed Enrico Polati. Lo studio è stato realizzato in collaborazione con il Weizmann Institute of Science di Rehovot (Israele), l’Istituto Pasteur e l’università Sorbona di Parigi, l’università di Chieti-Pescara e lo IEO, Istituto europeo di Oncologia IRCCS di Milano, grazie al sostegno della Fondazione Cariverona (ENACT Project) e della Fondazione TIM.
Sottoprogetto Immunovid
Supervisionato dall’immunologo Bronte, il sottoprogetto Immunovid ha studiato il contesto immunologico durante l’evoluzione della malattia, avvalendosi anche di tecnologie innovative come il sequenziamento dell’RNA su singole cellule e l’analisi di biopsie polmonari in stadi precoci della malattia. I risultati hanno messo in evidenza un quadro evolutivo in cui la forte infiammazione, documentata dalla produzione di diverse sostanze infiammatorie (citochine) nel siero, si associa ad alterazioni nella composizione e nella funzione di alcune sottopopolazioni di globuli bianchi che cooperano anche con le piastrine a uno stato di trombo-infiammazione. Inoltre, lo studio morfologico, immunoistochimico e molecolare, unico al mondo nel suo genere, ha evidenziato alterazioni delle cellule di rivestimento degli alveoli polmonari e della componente vascolare che chiariscono alcuni rilevanti ed ancora non comprese peculiarità fisiopatologiche della malattia, tra cui la ipossia silente (“happy hypoxemia”). Questi dati gettano le basi per una nuova comprensione delle fasi precoci della malattia e suggeriscono nuove strategie per ottimizzare il percorso terapeutico delle forme acute di covid-19.
Un altro risultato importante è stata l’identificazione di un farmaco capace di modulare la risposta immunitaria alterata nei pazienti Covid-19 e accelerarne la guarigione. Si tratta del Baricitinib, usato per la terapia dell’artrite reumatoide. Questo farmaco è stato approvato dalla Fda, Food and Drug Administration, per uso emergenziale in associazione con antivirali nei pazienti Covid-19 con polmonite che richiedono ossigenazione supplementare. Il gruppo di lavoro ha pubblicato già sei lavori scientifici, di cui due hanno ricevuto un commento editoriale e ha inviato altri due lavori che sono in corso di revisione.
Sottoprogetto ViroCovid
Supervisionato dal virologo Davide Gibellini, si è occupato della biologia del virus, del rapporto virus-cellula e di alcuni aspetti della patogenesi e della diagnosi di infezione da Sars-CoV-2. In particolare, sono state analizzate le sequenze genomiche dei ceppi di Sars-CoV-2 che permettono di comprendere la dinamica delle mutazioni e della comparsa delle varianti durante la pandemia a Verona. Inoltre, la comparazione delle sequenze di alcune proteine di Sars-CoV-2 con quelle di altri Coronavirus umani ha permesso di rilevare significative omologie in regioni bersaglio della risposta immune. Tali somiglianze potrebbero essere alla base di una immunità crociata coinvolta nel mitigare l’infezione e il suo impatto clinico in gruppi di pazienti come i bambini. Lo studio di un gruppo di pazienti ricoverati con diagnosi di Covid-19 ha rilevato la frequente presenza di sovrainfezioni da batteri multiresistenti. Questo risultato ha dimostrato che l’infezione da Sars-CoV-2 non solo determina un danno diretto al paziente ma facilita anche successive infezioni microbiche associate a una prognosi più severa. Altri studi sono in corso sul ruolo del virus nei pazienti affetti da fibrosi cistica, sul ciclo di replicazione virale, sull’azione di Sars-CoV-2 su alcuni aspetti della biologia cellulare, e sull’allestimento di nuove metodiche diagnostiche.
Sottoprogetto Registro Covid-19 Vr
Supevisionato dall’internista Domenico Girelli, sulla base dei dati clinico-laboratoristici raccolti su oltre 750 pazienti affetti da infezione da SARS-CoV-2 ricoverati a Verona sono stati elaborati, anche mediante studi collaborativi multicentrici, algoritmi di facile applicazione pratica in grado di prevedere, sin dalle prime fasi, l’evoluzione della malattia e poter quindi calibrare al meglio le cure e i fabbisogni assistenziali. I sotto-progetti Respi-Covid, Iron-Covid, Net-Covid hanno messo in luce la prevalenza di complicanze ematologiche, neurologiche, e respiratorie a distanza, utili per programmare adeguatamente il follow-up dei malati di Covid-19. Sono numerosi i contributi scientifici pubblicati relativi a questo sottoprogetto.
Sottoprogetto React-Covid-19
Supervisionato dall’infettivologa Evelina Tacconelli React-Covi-19 analizza come prevedere il peggioramento dalle forme moderate alle forme severe del Covid-19 e le conseguenze a lungo termine della malattia. In quinta giornata dall’inizio dei sintomi l’alterazione di almeno due parametri ematologici e biochimici nel soggetto di sesso maschile con patologia cardiovascolare e dispnea si associa ad un alto rischio di ricovero in terapia intensiva e decesso. La valutazione di questi parametri potrebbe essere di ausilio al medico di medicina generale per definire rapidamente quali pazienti ospedalizzare e in quali iniziare terapie combinate per il Covid-19. Anche l’analisi della flora batterica intestinale (microbioma) ha mostrato una differenza sostanziale in termini di batteri “protettori” e opportunisti nei pazienti con Covid che peggiorano rapidamente e vanno incontro a decesso. Più di 400 pazienti sono stati rivalutati clinicamente a tre mesi dalla diagnosi di Covid: il 20% dei pazienti ospedalizzati e il 10% dei pazienti rimasti presso il proprio domicilio presenta ancora sintomatologia, più frequentemente difficoltà nella respirazione e stanchezza (entrambi i gruppi), perdita del gusto (soggetti ospedalizzati) e dell’olfatto (non ospedalizzati). La persistenza dei sintomi è più frequente nei soggetti con più di 75 anni, con patologie cardiovascolari e/o neoplasie. Tutti i risultati descritti sono in revisione presso riviste e diffusi in congressi internazionali. Il progetto sta analizzando ora il follow up clinico, radiologico, psicologico, cardiologico e del microbioma a 12 mesi in collaborazione con il progetto Europeo Orchestra e leffetto del baricitinib associato a desametazone e remdesivir sui parametri clinici e sistema umorale. Il team ha inoltre valutato il rischio di trasmissione di Sars-CoV-2 nelle famiglie degli operatori sanitari. Dati preliminari mostrano che gli operatori che lavorano in area Covid hanno un rischio (prevaccinazione) più alto di altri operatori di contrarre l’infezione e che tale incremento si registra anche nei loro familiari.
G.R.