Le chiese di Verona e la fede di Dante Alighieri.
Chiese che il sommo poeta ha frequentato, dove ha stretto rapporti con le famiglie religiose che le custodivano, che ha fatto entrare nei suoi scritti, che ha considerato un riferimento culturale ma anche una “bussola” nel suo percorso spirituale.
Fra i gioielli del patrimonio sacro che hanno accompagnato il genio fiorentino c’è anche la Biblioteca capitolare, una delle più antiche del mondo, che per la preziosità dei manoscritti è stata definita “la regina delle collezioni ecclesiastiche”.
La Biblioteca capitolare di Verona, accanto al Duomo
«Dante è stato un cristiano autentico», spiega il vescovo di Verona, Giuseppe Zenti, cultore dell’Alighieri. «E ce lo dice lui stesso – prosegue il presule – quando nel Canto 24 del Paradiso viene esaminato da san Pietro sulla fede e al termine riceve l’approvazione finale sulla sua “favilla che si dilata in fiamma poi vivace, e come stella in cielo in me scintilla”».
Allora basta immergersi nel cuore della città veneta, varcando le soglie dei complessi religiosi che pullulano nel centro storico, per toccare con mano alcuni tratti dell’Alighieri credente. Luoghi inseriti nella mostra diffusa “Dante a Verona”, un itinerario – cartina alla mano – promosso dai Musei civici con il patrocinio del Comitato nazionale per le celebrazioni dei 700 anni dalla morte di Dante e in collaborazione con l’Università e la diocesi.
Perché lungo l’Adige il padre della lingua italiana ha vissuto, in esilio, dopo aver lasciato la sua Firenze. Ed è qui che, accolto dai signori della città, gli Scaligeri, ha trovato ispirazione per alcuni passi della Divina Commedia.
«È come se si sia imbattuto in una piccola Roma, ossia in una comunità segnata dal fervore culturale e in espansione», racconta la direttrice dei Musei civici, Francesca Rossi. Indizio certo della sua presenza è un verso del Paradiso dove scrive che il primo a offrirgli «rifugio» era stato il «gran lombardo che ’n su la scala porta il santo uccello»: si tratta di Bartolomeo della Scala, morto nel 1304, che esibiva sulla tomba l’aquila. E la si può scorgere fra le Arche Scaligere, il mausoleo di famiglia che resta una perla d’arte di fronte alla chiesetta di Santa Maria Antica. Poi Dante è tornato in città protetto da Cangrande tra il 1312 e il 1320. Un’amicizia, quella fra i due, ben salda e testimoniata dall’Epistola con cui gli dedica la terza Cantica.
La chiesetta di Santa Maria Antica con le Arche Scaligere
«Nei suoi anni veronesi – racconta il vescovo – il poeta aveva stabilito legami con i francescani di San Fermo, con i domenicani di Sant’Anastasia e poi con gli agostiniani di San’Eufemia». Le tre chiese erano al tempo un cantiere. Sono stati i seguaci del Poverello, arrivati nel complesso di San Fermo, a cominciare una radicale ristrutturazione della chiesa romanica. Invece si deve ai frati predicatori la costruzione della grande basilica di Sant’Anastasia dove gli Alighieri – che fino al XV secolo avrebbero abitato nelle vicinanze, presso palazzo Bevilacqua – hanno avuto la prima tomba di famiglia.
«Due interventi che sono il risultato della fioritura degli ordini mendicanti, cari a Dante», sottolinea Tiziana Franco, docente di storia dell’arte all’Università di Verona.
Aggiunge Paolo Pellegrini, che nel locale ateneo insegna filologia ed è autore del recente volume Einaudi Dante Alighieri. Una vita: «Possiamo immaginare un rapporto intenso con i francescani di San Fermo. Non a caso qualcuno ha ipotizzato che il poeta fosse un terziario, dal momento che nel Canto 16 dell’Inferno si scioglie la corda sui fianchi per permettere a Virgilio di gettarla a Gerione. Anche la sua famiglia è rimasta legata a San Fermo dove sono stati sepolti alcuni discendenti».
La basilica di Sant’Anastasia a Verona
Entrare invece nella chiesa di San’Eufemia significa unire Dante a sant’Agostino, richiamato anche nella sua più celebre opera. Tra il 1275 e il 1331, anno della consacrazione, gli agostiniani avevano modificato l’edificio ricevuto in dono, il cui prestigio era cresciuto durante il lungo episcopato di Tebaldo, anche lui appartenente all’Ordine fondato dal vescovo di Ippona.
«Si sostiene che Dante abbia avuto un particolare affetto verso Sant’Eufemia, cioè verso gli agostiniani, perché possedevano una ricca biblioteca e potrebbero averlo aiutato ad approfondire alcune questioni teologiche», afferma la professoressa Franco.
La chiesa di Sant’Eufemia
Un’altra chiesa: Sant’Elena. Nell’unica navata del «tempietto della gloriosa Elena» – come l’aveva definito il poeta – è stata pronunciata la dissertazione sull’origine delle terre emerse che voleva essere una risposta alle critiche legate alla Commedia. Un testo in cui si legge a conclusione: «Dante Alighieri, il minimo dei filosofi». E la data: 20 gennaio 1320. Di lì a un anno sarebbe morto a Ravenna.
La chiesetta di Sant’Elena
E c’è un’ulteriore chiesa che ha il sigillo dell’illustre toscano: San Zeno. Nella Divina Commedia compare quando in Purgatorio, fra gli accidiosi, Dante incontra un abate vissuto al tempo del Barbarossa.
«A ispirare il nostro poeta sarebbe stata un’iscrizione ben visibile sul fianco della chiesa che ricorda un certo abate Gerardo e le opere da lui promosse al tempo del sovrano svevo – afferma Pellegrini –. Benché i documenti ridimensionino il biasimo dantesco nei confronti di un uomo che non era stato un amministratore così dissoluto nonostante alcuni gravi soprusi, tutto ciò ci mostra come il poeta condannasse ogni forma di corruzione nella Chiesa».
La basilica di San Zeno
Ma non è il solo passo che la basilica ha suscitato.
«I telamoni, a cui nel Purgatorio sono paragonati i superbi curvi sotto pesi troppo grandi, si trovano proprio nella facciata di San Zeno – fa sapere la professoressa Franco –. E i gironi infernali potrebbero essere stati suggeriti dal portale in bronzo dove le figure nei bassorilievi fanno pensare subito alla prima Cantica».
Il portale della basilica di San Zeno
G.R.
fonte: www.avvenire.it